Capita frequentemente che le persone che si rivolgono ai percorsi di Mindfulness per affinare o imparare a prendersi cura di sé, stiano anche vivendo una fase di vita caratterizzata da un forte calo energetico e di vitalità, in cui c'è confusione e disorientamento rispetto ai loro progetti e aspirazioni, in cui è presente uno stato di irrequietezza dovuto alla sensazione che bisogna cambiare qualcosa nella propria esistenza , come se ci si sentisse risucchiati da una quotidianità fatta d' impegni, comportamenti, scelte svuotate del senso che avevano in origine. Nel momento in cui si contatta questo aspetto della condizione umana, molti di noi si attivano alla ricerca di un modo per riaccendere quella fiamma, per recuperare uno slancio verso il benessere. Siamo in cerca di una forma di risveglio che renda il mondo intorno a noi e dentro di noi, di nuovo nitido, colorato, intenso, profumato e spesso questo risveglio è possibile grazie all'allenamento paziente nelle pratiche di consapevolezza.

Sentirsi in trappola

A volte il disagio rispetto alla propria condizione di vita nasce dalla “sensazione di sentirsi in trappola”, come se non si potesse fare a meno di cimentarsi sempre nelle stesse cose, avere sempre quei comportamenti, gestire alcune situazioni sempre in quel modo...come se non ci fossero delle alternative valide alle modalità che noi abbiamo deciso di adottare nella speranza di tenere tutto sotto controllo o di evitare imprevisti o di scansare il peggio. Molto spesso però, proprio questa premessa di controllo e di evitamento, più o meno consapevole per noi, alza il livello di stress del nostro organismo, inteso come sistema mente-corpo, e ci imbottiglia in percorsi di ipotetiche soluzioni ai nostri problemi che invece cronicizzano degli schemi comportamentali disfunzionali o semplicemente poco efficaci.

Per poterci aprire a nuove possibilità di azione, bisogna prima avere fiducia nelle nostre capacità e, affinché si possa coltivare questa attitudine in noi, bisogna riuscire a sintonizzarsi con le proprie reali motivazioni, con i veri obiettivi che vogliamo perseguire, le nostre risorse e limiti. Insomma bisogna diventare sempre più consapevoli di come funzioniamo, quali pensieri ed emozioni ci condizionano.

Come uscire dal labirinto

A tal proposito vorrei riportare un interessante esperimento condotto da alcuni psicologi dell'Università del Maryland, pubblicato nel 2001. Gli sperimentatori chiesero ad alcuni studenti di cimentarsi in un semplice gioco: su un foglio era disegnato un labirinto e bisognava tracciare la strada per uscirne indicando il percorso con una matita, senza staccarla mai dal foglio.La richiesta del rompicapo era anche quella di immaginare di dover aiutare un topolino, disegnato sulla pagina, ad arrivare all'uscita del labirinto dove si trovava la sua tana. Gli studenti vennero divisi in due gruppi di lavoro:

al primo gruppo venne dipinto lo scenario per cui il topolino all'uscita avrebbe trovato un delizioso pezzo di formaggio ad aspettarlo davanti alla sua tana (compito noto agli sperimentatori come “enigma positivo” o “orientato all'avvicinamento”);

al secondo gruppo invece venne presentato uno scenario diverso nel quale, alla fine del labirinto, il topolino avrebbe trovato una civetta dagli artigli affilati pronta a catturarlo non appena il piccolo roditore avesse messo il naso fuori e gli studenti avrebbero dovuto trovare il modo di evitarla (compito noto come “enigma negativo” o “orientato all'evitamento”).

Entrambi i labirinti erano semplici da percorrere e infatti ambedue i gruppi terminarono il compito velocemente, ma gli effetti successivi, rilevati nei due gruppi, erano notevolmente differenti. Infatti dopo aver terminato il compito del labirinto, ai ragazzi venne chiesto di sottoporsi ad un breve test, apparentemente slegato dalla prima prova, che misurava la creatività: il gruppo che aveva dovuto evitare la civetta, conseguì dei risultati peggiori del 50% rispetto a quelli che avevano aiutato il topolino a trovare il formaggio e questi dati suscitarono interessanti riflessioni e approfondimenti. Per usare le parole di due illustri autori in materia come Mark Williams e Danny Penman “Venne fuori che nella mente degli studenti, l'evitamento aveva spento la capacità di accedere alle diverse opzioni; aveva attivato in loro i circuiti di “avversione” lasciandoli con una persistente sensazione di paura e aumentando in loro la vigilanza e la cautela. Quello stato mentale aveva il duplice effetto di indebolire la creatività e ridurre la flessibilità della mente stessa. Per gli studenti che avevano aiutato il topolino a trovare il formaggio, invece, la prospettiva non avrebbe potuto essere più differente: si erano aperti a nuove esperienze, erano più giocosi e spensierati, meno cauti, ben contenti di sperimentare. In breve, l'esperienza aveva aperto la loro mente mostrando che lo spirito con cui fai una cosa spesso ha la stessa importanza dell'azione in sé”.

Molto più frequentemente di quanto immaginiamo, noi ci ritroviamo proprio nella condizione “ dell'enigma negativo” perché nutriamo un atteggiamento avversativo, ostile e sfiduciato verso ciò che stiamo facendo, con il risultato di disperdere molta più energia del dovuto e alimentare il sistema di avversione e di evitamento. Questo scenario implica diversi svantaggi, primo fra tutti la chiusura in uno stato mentale di costante protezione, controllo, sfiducia nelle altrui e proprie possibilità, l'incapacità di intravedere nuove alternative o prospettive, una specie di esilio volontario dallo scorrere naturale della vita così com'è, nel bene e nel male.

Evitamento ed esaurimento delle forze

Ogni volta che ci sentiremo in trappola e ci concentreremo soprattutto sulla civetta alla fine del labirinto, diventeremo più timorosi, sfiduciati, bloccheremo il nostro sistema di esplorazione e quindi anche la possibilità di trovare nuove soluzioni ad un problema fino ad arrivare a rimanere bloccati nel senso d'impotenza e nell'esaurimento delle forze fisiche e mentali, perpetuando il circolo vizioso dello stress. Forse in passato queste strategie, mirate ad evitare o a procedere a denti stretti in mezzo alla vita, hanno funzionato nel breve periodo ma, se protratte a lungo, portano ad esaurimento energetico perché promuovono lo squilibrio tra le energie che spendiamo respingendo i colpi e quelle che rinnoviamo immergendoci con presenza e apertura nel mare della vita.

“ Presto o tardi, però, arriva un momento in cui queste strategie smettono di funzionare, o perché finiamo la benzina o perché la difficoltà che stiamo affrontando è davvero ingestibile. Quando arriviamo a questo bivio abbiamo due opzioni: tirare avanti fingendo che vada tutto bene (e passare un'esistenza sempre più infelice), oppure riuscire ad abbracciare un modo diverso di metterci in relazione con noi stessi e il mondo. Questo approccio differente è di accettazione di noi stessi e di quello che ci mette in difficoltà, qualunque cosa sia. Questo significa voltarsi a guardarla, farci amicizia, anche quando non ci piace o ci spaventa, anzi, specialmente in quei casi.” (Mark Williams e Danny Penman, 2014)

Il gorgo dell'esaurimento

La psicologa Marie Asberg, del Karolinska Institutet di Stoccolma, descrive cosa può accadere nella vita delle persone quando si crea uno squilibrio tra le energie che spendiamo per far fronte alla vita e quelle di cui ci nutriamo per rivitalizzarci. Quando aumentano le cose da fare, molti di noi tendono a concentrarsi solo su quelle che reputano più importanti, rinunciando a molte altre e in genere le prime ad essere messe da parte sono proprio quelle che ci nutrono perché ci sembrano opzionali e non indispensabili.

Il problema è che spesso queste scelte ci chiudono ad imbuto su poche alternative che rientrano nei cosiddetti doveri e solitamente costituiscono fattori di stress (lavoro, scadenze, manutenzioni, gestione della vita familiare....). Inoltre l'analisi fatta dalla Asberg ha rilevato come tendenzialmente le persone che imboccano più facilmente questa spirale discendente sono anche quelle più responsabili, serie, attente e coscienziose o quelle persone che fanno dipendere la fiducia in se stesse dai risultati che detengono in ambito lavorativo, familiare, sociale. La dottoressa Asberg definisce questo fenomeno “il gorgo dell'esaurimento” e spiega come questo si crei man mano che rinunciamo a quegli aspetti dell'esistenza rienergizzanti, restringendo il cerchio della vita solo sui problemi immediati, urgenti o reputati tali da noi stessi o, peggio ancora, dagli altri.

Purtroppo il risultato di questa morsa è che si arriva all'appuntamento con la vita sempre più disidratati di piacere, esausti e infelici. Gli effetti che lo stress esercita sul nostro equilibrio mente-corpo non sono da sottovalutare ed è per questo che, se avvertiamo il sentore che l'esistenza comincia a sopraffarci, è bene cominciare a prendersi cura delle nostre energie e recuperare la fiducia nelle nostre risorse e nella possibilità di trovare delle strade alternative a quella in cui ci troviamo. Questo non significa che i problemi magicamente spariranno, ma che possiamo cominciare ad entrare in relazione con noi stessi e con il mondo in maniera differente, più salutare. I percorsi basati sulle pratiche di consapevolezza o MBSR forniscono gli strumenti per rimetterci in contatto con le nostre reali priorità e esplorare nuovi modi di riconnetterci all'esistenza.